sabato 13 luglio 2013

All'ombra della Snia di Varedo





Sono passata sopra le aree Snia percorrendo in bicicletta la pista ciclabile che costeggia il canale Villoresi: all'altezza delle rotaie delle Ferrovie Nord c'è un ponte che ci passa sopra e da lì si può vedere l'estensione di quella che una volta era una delle più grandi fabbriche della Lombardia .

Qualche anno fa qualcuno aveva prospettato il riutilizzo di queste aree; chi parlava di nuovi palazzi e di nuovi centri commerciali (oh, che novità!), chi di farne un enorme centro della moda ecc. ecc.
La crisi ha bloccato tutto, anche i progetti sulle ex aree Snia e forse, almeno in questo caso, non tutti i mali vengono per nuocere.
Di anno in anno le zone intorno alla vecchia fabbrica si stanno coprendo di boschetti sempre più fitti.
Forse con il passare del tempo tutto crollerà e la vegetazione avrà la meglio su tutto.

Di poche cose ho fiducia nella vita.
Una di queste è la potenza della natura.
Se anche riusciremo a distruggere tutto il pianeta sono sicura che almeno una pianta, un'erba, un essere vivente riuscirà a sopravvivere e la natura riprenderà il predominio sulla Terra.
Per il momento siamo noi a pensare di averne il predominio, anche se i dubbi a proposito si fanno sempre più numerosi.




La Snia Viscosa appartiene ad un periodo storico in cui l'uomo di razza nordico-lombarda pensava davvero di essere il padrone di tutto.
Della natura , ma anche dei suoi simili, se ne fregava bellamente.
Durante gli anni sessanta-settanta dalle ciminiere della Snia usciva di tutto e nessuno aveva niente da dire.
I suoi fumi ammorbavano l'aria, i suoi liquami distruggevano il fiume Seveso e nessuno aveva niente da dire.
I residui di zolfo, messi all'esterno della fabbrica, si alzavano in volo con il vento colorando l'aria di rosso e nessuno aveva niente da dire.
Il Dio lavoro-produzione-soldi-industrializzazione imperava ed era comprensibile: dopo anni di fame, guerra e disgrazie la gente aveva solo voglia di guadagnare, farsi la casa, avere il televisore e la lavatrice, mandare in giro i propri figli finalmente con vestiti decenti, mangiare tutti i giorni.
Era tutto semplice e comprensibile: nessuno si lamentava dell'inquinamento e della puzza, nessuno reclamava se gli impianti andavano giorno e notte con un frastuono terrificante.
La Snia portava lavoro e soldi.





Ogni tanto si sentiva parlare di qualcuno che moriva di cancro o di qualche altra malattia, ma non ci si faceva caso.
Per le centinaia di famiglie varedesi e per tutti gli immigrati che lavoravano negli impianti la fabbrica era solo una benedizione.
Non importava che le ciminiere non smettessero un minuto di eruttare veleni nell'aria o che il fiume Seveso diventasse una cloaca a cielo aperto per gli scarichi multicolori della fabbrica.
Non importava neppure che noi bambini ci giocassimo, sulle rive di quel fiume avvelenato, dove neppure i topi sopravvivevano.

Chi arrivava da Milano in treno si accorgeva immediatamente di essere a Varedo dalla puzza mefitica che proveniva dalla fabbrica.
Eppure noi di Varedo in qualche modo cercavamo persino di difenderla, dicendo che a Milano si viveva comunque peggio, o che a Pero la puzza era peggiore di quella.





Un amico che una notte mi accompagnò a casa dopo una serata in discoteca rimase atterrito dal rumore e dalla puzza della Snia.
Eppure io me ne accorgevo a malapena.

La fabbrica ha avuto, nel bene e nel male, un ruolo importantissimo per Varedo.
Centinaia di meridionali sono venuti a lavorare nella Snia e hanno abitato nei casermoni costruiti per accoglierli.
Per anni la convivenza è stata difficile, ma poi, a poco , a poco, come era successo prima ai veneti e ai friulani, i meridionali si sono integrati ed hanno portato idee e abitudini nuove, che hanno cambiato il paese ed hanno contribuito a rinnovarlo.





Adesso ogni sera mi affaccio al mio balcone e scruto le ciminiere della Snia: controllo la vegetazione tutta intorno e mi accorgo di come si sta estendendo, seguo il volo degli uccelli, mai così numerosi come in questo periodo e faccio qualche fotografia, soprattutto al tramonto , quando il sole muore dietro alle vecchie ciminiere e illumina tutto il cielo.



- Testo e foto di Luciana Figini -


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