domenica 29 dicembre 2013

Follie da Fan


Questo che segue è un raccontino-mini, che ho scritto a metà degli anni novanta, quando le ragazzine impazzivano per i Take That.
Mi diverto sempre molto ad osservare i comportamenti delle fan-ragazzine.
Prima di tutto perchè , ai tempi, lo sono stata anch'io ( potevo svenire solo al pensiero di ascoltare "Emozioni" di Lucio Battisti o "Tanta Voglia di Lei " dei Pooh ) e poi perchè, come si dice? Passa il tempo ma le cose rimangono sempre uguali.
C'erano ragazzine che si strappavano i capelli durante i concerti dei Beatles ed in seguito per Jim Morrison, così come molti anni dopo ci furono ragazze che svenivano per i Duran Duran, per i Take That, per Ligabue.
Oggi impazziscono per gli One Direction ed allora ecco subito i soliti adulti "seri" che le prendono in giro e le considerano delle ochette.
Ma lasciamole stare queste ragazzine: cosa c'è di più bello al mondo che avere quattordici anni ed impazzire per un idolo musicale?
...c'è tempo per diventare seri...anche troppo...






TAKE THAT FOREVER!

Ultimo giorno di scuola: i ragazzi mi hanno chiesto di vedere insieme delle videocassette musicali ed io acconsento molto volentieri; la mia anima di teenager è sempre pronta ad ascoltare le novità musicali proposte dai ragazzi.
Ecco qualche bel video fatto in casa sui gruppi di ultima generazione: qualcuno è un po' più intellettuale e mostra Depeche Mode, Blur, Pearl Jam o Nirvana: pezzi di musica, interviste di MTV, spezzoni di concerti, riprese fatte nei camerini, commenti dei fan, insomma un gran bel vedere.

Poi arriva un video, sempre “home-made” sulle Spice Girls e allora i fan dei Nirvana si ritirano in un angolo, disgustati dai balletti e dalle melodie delle quattro ragazze britanniche scatenatissime – io le trovo carine ma loro non sono d'accordo.

Ad un certo punto arriva una ragazzina da un'altra classe; bussa, entra, è trafelatissima ed eccitatissima.
Rivolgendosi al gruppetto di ragazze vicino a me urla, a me e a loro: “ Ce l'ho, ce l'ho, prof la prego , la imploro, ce lo faccia vedere!”
Le ragazzine sono già in preda all'isteria ed io non ho ancora capito cosa vuole da me questa ragazzina riccioluta ed occhialuta che stringe in mano una videocassetta e sembra stia per mettersi a piangere.
“Scusa”- le dico- “ ma non ho capito bene quello che vuoi; cos'è che devo lasciarvi vedere?”
Tra le lacrime e i gridolini isterici riesco finalmente a capire che vogliono vedere una videocassetta sui Take That.
I rockettari della classe sono sempre più scocciati e, sapendo quello che li aspetta, mi chiedono il permesso di andare a vedere la partita di pallavolo in palestra.
Ma cosa “ li aspetta”? ( e “mi” aspetta!)
Lo capisco appena parte il video di interviste, concerti e gossip sui Take That.
Le ragazze sono tutte lì, davanti al televisore, a piangere come fontane e gridare isteriche appena inizia un pezzo della mitica boy band.
Mandano baci verso Robbie, piangono d'amore per Jason, litigano su chi sia più bello tra Mark e Howard, si abbracciano appena Gary comincia a cantare.
Intanto arrivano altre ragazze da altre classi e , anche loro piangendo, mi chiedono il permesso di stare lì a vedere il video.
In pochi minuti la mia classe è sovraffollata di ragazzine isteriche, alcune sembrano sull'orlo di una crisi di nervi, altre piangono come fontane, TUTTE sanno TUTTE le canzoni dei Take That a memoria e le cantano a squarciagola.

Sono esterrefatta e non so come comportarmi: come si può contenere una tale ondata di pazzia?
Arriva la preside e bussa alla porta della classe.
Le ragazze neppure se ne accorgono.
Esco subito cercando un qualche argomento da presentare alla dirigente per scusarmi e scusare le ragazze.
Le spiego la situazione e lei, inaspettatamente si mette a ridere.

“ Va bene prof, non si preoccupi; pensavo che fosse successo qualcosa, li lasci fare, l'importante è che nessuno si faccia male.Sa, negli anni ottanta, quando andavano di moda i Duran Duran, una volta mi è toccato chiamare un'ambulanza, perchè a una ragazza avevano regalato un biglietto per il loro concerto e lei era praticamente collassata dalla gioia.
D'altronde, se andiamo a guardare i video dei concerti dei Beatles cosa possiamo vedere?
Ragazze che urlano e piangono, isterismo di massa, gente che cerca di toccare John o Paul, poliziotti costretti a fermare i fan impazziti.
Non cambia mai niente, professoressa; i ragazzi sono sempre gli stessi, cambiano solo gli idoli”

Rientro in classe rinfrancata e più tranquilla; sono contenta di avere una preside beat e comprensiva!
Intanto i Take That hanno attaccato “ Back for Good “ e le lacrime ormai hanno raggiunto le dimensioni di una cascata.
Qualcuna mi mette in mano il testo della canzone ( Mio Dio! Sono organizzatissime queste fans; hanno fotocopiato i testi per tutti, pardon, tutte! ) e mi prega di cantare insieme a loro.
Esito un po' ma poi ci sto e in men che non si dica si crea un coro, più o meno intonato, che segue le parole di Gary Barlow in un tripudio di lacrime e di abbracci.
Il gruppo dei rockettari si affaccia alla porta con un' espressione di disgusto e sorpresa e se la dà subito a gambe.
Intanto sono arrivate anche un paio di bidelle; si siedono anche loro a guardare il video e Paola, la più giovane e simpatica, si mette a piangere anche lei...

- Luciana Figini -








sabato 28 dicembre 2013

Un solo Respiro


Come tutti gli amanti , temevano per il loro amore.
Si sentivano raggelare a uno sguardo indifferente dell'altro, una parola impaziente oscurava la giornata a entrambi.
Quando aprivano gli occhi e, al debole lume verdognolo della radio, scorgevano distintamente ogni oggetto della cameretta, ogni cosa rimasta ben ferma al suo posto, mentre essi erano stati molto lontani e in gran  moto, Manfred chiedeva sottovoce :
" Che cosa desideri adesso?".
" Sempre la stessa cosa" diceva Rita. " Un'unica pelle che ci racchiuda entrambi, un solo respiro per tutti e due".

 Christa Wolf - da " Cieli Divisi" 









sabato 14 dicembre 2013

Going Home


Seduta nel piccolo portico
imbiancato di calce bianca 
stavo ad ascoltare 
la voce del maestrale

Osservavo stregata 
la luna piena 
che rendeva tutto 
magico ed irreale

Da lontano
il fruscio delle onde
arrivava intercalato dalla voce del vento 

I rumore si fondevano 
e mare e vento diventavano una sola voce

Chiusi gli occhi:
reale ed irreale divennero un unico mondo...

- Luciana Figini - ( 1990 )









La Stanza di Vetro

In mezzo alla stanza c'è un tavolino stile tirolese, con un portacenenre colmo di cicche di sigarette.
Anche le sedie sono nello stesso stile; sotto il portacenere c'è una tovaglietta di tela ricamata , di quelle con il punto a croce e la frangetta tutt'intorno.
E' un pò sgualcita, ma è piacevole al tatto, come le cose antiche.

La donna è seduta su di una panca e fuma una sigaretta dietro l'altra , mentre guarda un vecchio telefilm poliziesco da un televisore in bianco e nero.
Per non disturbare i clienti dell'albergo il volume è bassissimo e del resto la donna non sta ascoltando molto attentamente.

Sono già le undici passate e nell'albergo non si sente più neppure un rumore; sono già tutti a letto a quest'ora.
I clienti sono quasi tutti persone anziane, così alla sera c'è ben poco movimento.
Fuori fa un freddo cane e nessuno si avventura.

La donna si è stancata del telefilm ed ha spento la televisione; sta per accendere la luce , ma qualcosa la trattiene.
La stanza ha delle ampie vetrate e proprio fuori dalle finestre si può vedere uno dei lampioni della strada.

La donna si mette a contemplare il paesaggio accendendosi l'ennesima sigaretta.
Rimane un pò ad ammirare gli immensi pini rossi candidi di neve e le luci lontane delle altre abitazioni disseminate nella valle.

Poi ad un tratto un rumore lieve, caldo, felpato, come un gomitolo soffice di lana che cade su di un tappeto.

Tutto tace intorno; dalle stanze vicine si sente qualche flebile lamento, il rumore lontano di qualcuno che russa.

Di nuovo il rumore di prima .
Questa volta è un pò più pesante, ha preso un ritmo chiaro e cadenzato...

Dentro la stanza di vetro c'è la donna con la sua solitudine.
Fuori, sugli sconfinati boschi della Foresta Nera, ha  ricominciato a cadere la neve...


- Luciana Figini - ( scritto nel gennaio 1981 a Obertal , Germania )








sabato 7 dicembre 2013

Arrivederci Figlio della Luce !



La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati
la nostra paura più profonda è di essere potenti oltre misura.

È la nostra luce, non il nostro buio che ci fa paura.

Noi ci chiediamo: "Chi sono io per essere così brillante, così grandioso?
Pieno di talenti, favoloso?"
In realtà chi sei tu per non esserlo?
Tu sei un figlio di Dio.

Se tu voli basso, non puoi servire bene il mondo.
Non si illumina nulla in questo mondo se tu ti ritiri, appassisci.

Gli altri intorno a te non si sentiranno sicuri.

Noi siamo nati per testimoniare la gloria di Dio dentro di noi,

non soltanto in qualcuno, ma in ognuno di noi.

Nel momento in cui noi permettiamo alla nostra luce di splendere

noi inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare lo stesso.

Nel momento in cui noi siamo liberi dalla nostra paura

la nostra presenza stessa, automaticamente, libera gli altri.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/stati-d-animo/frase-129136?f=a:679>
                                                     - Nelson Mandela -


 





da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/politica/frase-206934?f=a:679>

domenica 1 dicembre 2013

Era mio Padre - Terza e Ultima Parte


Enrico rilegge ancora una volta quello aveva scritto l’8 di settembre e la stessa rabbia sembra di nuovo assalirlo.
Prende una matita ed un foglio e si mette a scrivere .

Quel cretino del Dante dice che il merito della liberazione d'Italia è solo degli alleati e dei partigiani.

E noi chi siamo?

Secondo lui siamo solo dei voltagabbana, che prima stavano col Duce e poi contro i tedeschi.

Mi viene una rabbia: proprio lui parla di queste cose, lui che è stato riformato non si sa bene per quale motivo, lui che non sa neppure cosa sia la guerra, perchè l'ha passata tutta a casa.

Eppure queste cose non le dice solo il Dante: su tutti i giornali , in tutti i discorsi si inneggia ai partigiani, si esaltano gli alleati, si accolgono con tutti gli onori gli internati dei campi di concentramento.

Tutte cose giuste e sacrosante...ma noi chi siamo?
I giornali non ne parlano,le persone che ti incontrano, quando sanno che eri un soldato, ti guardano in modo strano,quasi diffidente.

Non mi sono mai sentito un eroe di guerra, ma non avrei mai pensato di sentirmi un traditore, di essere denigrato o, quando va bene, non considerato.

Eppure le popolazioni dei paesi che abbiamo liberato quando ci vedevano erano entusiaste, ci portavano in casa loro, ci offrivano tutto ciò che possedevano, ci dimostravano un'enorme gratitudine.

Io dentro sento un rancore sordo ogni volta che si tocca l'argomento.

Anche in famiglia non riesco a sfogarmi : loro non vogliono più sentir parlare di guerra, cercano di cambiar subito discorso.

Ed io rimango con la mia bestia nel cuore.

Povero tenente Senadei!”- penso - “sei diventato cieco per niente!”





E’ sabato notte ed Enrico è appena tornato dall’osteria , sale le scale un po' a fatica, barcolla.
-Chisà che ora è?- pensa Enrico, mentre, sconfitto dalle gambe che non ne vogliono sapere di camminare, si siede su un gradino e si accende una sigaretta.
A lui la notte non fa paura; ha l’anima del pipistrello.
Si mette a ridere tra sé e sé quando sente un sonoro russare provenire dalla porta vicina: le zie Paola e Bina stanno “resegando bene”.
Sorride tra una boccata di sigaretta e l’altra , pensando alle due zie .
Enrico è circondato da parenti e amici; la sua piccola attività di falegname sta ingranando e gli sta cominciando a dare qualche soddisfazione…eppure ci sono cose che può raccontare solo a pèochi amici all'osteria.
Nessuno vuole sentire più parlare di guerra e poi ci sono quelle sensazioni di angoscia che non lo lasciano in pace...
Da lontano passa un uomo in bicicletta; torna a casa dall’osteria e canta a squarciagola.
Enrico lo riconosce subito dalla voce: è l’Aquilino, quello che è tornato dalla Germania a piedi dopo essere scappato da un campo di prigionia.
Enrico si alza , pensa a tutti quelli che hanno avuto vita molto più dura di lui, a tutti gli amici che non sono più tornati e si avvia verso casa con una lacrima negli occhi che non si decide a scendere…

Giornate terribili, ma cominciamo a capire che la fine sta arrivando.

Vicino a Corinaldo si spara a tutto spiano: i tedeschi sono vicinissimi, ma ormai non hanno più scampo.

Dopo essere riusciti ad avanzare arriviamo ad Urbania: anche qui distruzione ovunque.

Ponti e ferrovie, persino alberi fatti saltare dai tedeschi.

Negli occhi ho così tanta distruzione e disperazione che a volte non riesco a sopportarne il pensiero.

Poco prima della fine della guerra mi viene finalmente concessa una licenza.

Sono agitatissimo, prendo il primo treno e parto per Milano.

Lungo il tragitto desolazione e distruzione ovunque.

Chi si sarebbe mai immaginato tutto questo?

Penso con angoscia alla mia famiglia – saranno ancora vivi? Staranno bene?

Sono mesi che non ricevo loro notizie.

Penso a Mussolini e all'incubo nel quale ha fatto entrare l'Italia.

Mentre passiamo per un paese completamente raso al suolo sento dentro di me un odio sordo verso di lui e verso tutti quelli che lo hanno appoggiato.

Il giorno dopo sono a Varedo.

Il paese è ancora tutto intero, sembra non sia successo nulla.

Mi fermo qualche minuto alla stazione e scoppio in un pianto liberatorio: sono tutti lì , ad aspettarmi alla stazione.

Sa Dio come hanno fatto a saperlo.

Tra qualche giorno dovrò tornare al fronte ma mi sono tolto un peso enorme dal cuore.

Sono passati ormai molti mesi da quando Enrico è tornato dalla guerra.
A poco a poco, lui che è appassionato di attualità e storia, è venuto a sapere di tutta la distruzione e l'orrore che la guerra aveva portato ovunque.
Sui giornali scorrono le foto della Francia, dell'Inghilterra , dell'Italia, della Germania.
L' Europa intera è devastata eppure bisogna ricominciare.
La maggior parte della gente cambia discorso quando lui comincia a parlare dei cinque anni di guerra.
Allora lui prende la sua sigaretta, esce di casa e si fa un giro in mezzo ai campi.
Spesso si siede in mezzo a un campo o sotto un albero e parla da solo.
Spesso vede davanti a sé le immagini dei compagni morti e piange sommessamente.
Poi si mette ad ascoltare i grilli , le voci lontane di mamme che richiamano i bambini o gli scoppi di risa di gente seduta in cortile a raccontarsi cose divertenti .
Allora finisce la sigaretta , si alza lentamente e si riavvia verso casa.
Dentro di sé il brontolio del passato non si placa ancora e sa che ribollirà ancora per anni, ma sa di avere davanti a sé tutta una vita da costruire, tutta una vita da vivere ancora e allora, quasi non volendolo, sorride leggermente , come quel giorno sulla strada da Palazzolo a Varedo.
Gira l’angolo e rivede il suo campanile: lui è lì , fermo e placido, sembra quasi guardarlo , sembra quasi dargli coraggio.

Enrico si mette a fischiettare un motivetto e sente che qualcosa di nuovo sta nascendo dentro di lui: è qualcosa di piccolo, ancora in embrione, una specie di speranza abbozzata, un puntino di futuro in mezzo al cuore, ancora troppo lieve per riuscire a percepirlo pienamente… ma è lì, sta mettendo radici, gli farà compagnia insieme al fumo delle sue sigarette… 




FINE


...ciao papà...


racconto di Luciana Figini 


Ancora in Viaggio







Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. 
E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. 
Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. 
Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. 
Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. 
Sempre. 
Il viaggiatore ritorna subito.

- José Saramago - 


Era mio Padre - Seconda Parte


Enrico è arrivato all'ingresso del suo cortile, in Via Vittorio Emanuele II.
Sulla destra il fienile ed in mezzo i carretti dei contadini.
Una volta quando era bambino aveva fatto cadere la sorella dal fienile per gioco- allora aveva avuto una paura del diavolo, perchè l'aveva vista immobile, come morta.
Ma poi si era subito rialzata ed aveva continuato a giocare.

Davanti a lui la casa di ringhiera dove vive con la madre, il padre, le sorelle ed il fratello.
La sua casa e tutte quelle intorno si affacciano su di un cortile comune.
Le donne hanno approfittato della giornata mite e del venticello per stendere tutti i panni dalle ringhiere.

Ecco, ad un certo punto una figura minuta uscire dalla porta di casa ed affacciarsi sul cortile.
E' Franca , la sorella più piccola.
“Mamma!”-grida-”Mamma! E' arrivato!E' arrivato!”
E' un attimo e subito tutti si precipitano di sotto.
Enrico corre verso di loro e li abbraccia.
Tutti piangono, ridono, gridano, fanno un gran casino.
Persino le zie Paola e Bina escono dal loro uscio e si mettono a piangere e a chiamare l'Enrico.
Amici, vicini, parenti, tutti escono dalle case e corrono incontro al soldato che ha riportato a casa la pelle.

Due notti terribili.
Giovedì notte le pulci e tutti i più schifosi animaletti del creato si sono scatenati sui nostri poveri corpi .
Il Taran, che è il più grosso e quindi il più appetitoso per queste bestie orrende, ha passato la notte a mandare saracche terribili contro le pulci, contro la guerra e contro Mussolini.
Meno male che il capitano dormiva della grossa (ma a lui le pulci non lo mordono?) altrimenti il mio amico si sarebbe fatto qualche giorno di prigione.
Ecco il nostro fronte quotidiano: fare la guerra alle pulci…ma senza armi!

Venerdì notte ho fatto la guardia e mi sentivo stanchissimo: stanchissimo di questa guerra, stanchissimo di sprecare la mia giovinezza in questo modo.
Guardo la campagna silenziosa intorno a me e penso a questi anni, che dovrebbero essere i più begli anni nella vita di un uomo e che invece stanno passando dentro un'uniforme.




Mamma Ersilia è fuori di sé dalla gioia e subito trascina Enrico in cucina.
Non c’è gran che in tavola ma ad Enrico sembra un paradiso: addenta con gusto il pane e salame , si serve generosamente del vino e tra un boccone e l’altro parla e parla , racconta del viaggio di ritorno e degli amici , di Manduria e delle notte di guardia e di quella volta che per poco non lo ammazzano.


Ades l’è finida! – dice tutto contento prendendo Franca sulle sue ginocchia.


Nel petto però sente ancora la stessa ansia che lo accompagna da quando è sceso dal pullman.
Il padre , Alfonso, se lo mangia con gli occhi ma Enrico si accorge di come sia invecchiato durante gli ultimi anni.
Lui è il fratello maggiore e sa che per lui la fine della guerra significa anche l’inizio della fatica vera, quella nei campi.
A poco a poco Enrico ricomincia la vita da borghese:si è dato un po' di tempo per riprendersi, prima di decidere cosa farà nella vita.
I suoi sono contadini , ma per lui “la terra è troppo bassa”.
Vuole fare qualcosa di diverso e ha già un paio di idee.
Durante la guerra ha fatto spesso il barbiere per i soldati e per gli ufficiali,potrebbe essere un buon mestiere da civile.
Ma un'altra idea gli sta frullando nella testa : prima di andare in guerra aveva lavorato per un falegname e il lavoro non gli dispiaceva.
Magari si potrebbe aprire una bottega .
Con queste idee in testa e con la solita sigaretta in bocca, una Nazionale senza filtro, si avvia dopo pranzo al bar della cooperativa.
 





Già da qualche giorno ha ripreso a frequentare gli amici, o , almeno, quelli che sono rimasti.
Il suo amico Pasquale è morto al fronte, colpito da una granata,il Peppino è morto in un campo di prigionia in Germania.
Alcuni sono dispersi e la famiglia non ne sa niente.
Enrico prende il solito bicchiere di vino e si siede insieme agli amici.
Giocano a carte, cercano di ridere un po' e di parlare di ragazze, ma l'atmosfera è cambiata.
Ci vorrà parecchio tempo prima che la guerra e tutti i suoi orrori vengano dimenticati.
Da un lato, seduto da solo davanti ad un bianchino spruzzato c'è l'Antonio.
Prima della guerra era il più casinista e allegro di tutti.
Da quando è tornato è cambiato completamente, si apparta, non parla quasi con nessuno, passa la maggior parte del tempo con lo sguardo fisso nel vuoto.
Dicono che fosse in un campo di prigionia vicino a Dresda e che abbia assistito al bombardamento .
Cosa abbia visto esattamente non si sa, ma il suo sguardo perso è ancora in mezzo a quei morti e a quelle macerie.

8 Settembre 1943 : Armistizio
Tutto finito? Si torna a casa?
No ,assolutamente no, si combatte ancora, anzi , da ora in poi sarà più dura.
La Germania, che era nostra alleata, adesso è diventata nostra nemica .
Ha ragione il mio amico Taran “La guerra si finisce da una parte e si comincia dall'altra”.
Siamo confusi, non sappiamo niente dei nostri parenti e amici, il morale è a terra.
L'Italia è divisa in due e noi dobbiamo risalirla, da Sud a Nord, per liberarla dai tedeschi e per aiutarla.
Alla fine di maggio del '44 partiamo da Manduria per arrivare a Benevento: paesi, ferrovie, officine distrutte. Morte e distruzione ovunque . Terribile...
Nessuno parla ma tutti abbiamo un'angoscia addosso che ci spacca il cuore.
In provincia di Benevento e poi ad Ancona ci sono dei forti scontri con i tedeschi: insieme alle truppe italiane del corpo di liberazione riusciamo a scacciare le truppe tedesche e ad avanzare.
Quando arriviamo ad Ascoli sono già 300 km che marciamo e combattiamo, ma l'entusiasmo con cui la popolazione ci accoglie è un grande sollievo per il nostro morale.
Di notte pensiamo alle famiglie e ci chiediamo che fine abbiano fatto, se i nostri cari siano ancora vivi o no.
Le comunicazioni sono praticamente interrotte.
Vicino a Jesi c'è un altro scontro e stavolta alcuni uomini vengono uccisi ed il tenente Senadei rimane colpito gravemente agli occhi dalle scariche di artiglieria dei tedeschi.
Viene subito medicato ma non c'è niente da fare: rimarrà cieco per tutta la vita.
Io sto male continuamente: non sono un eroe , non lo sono mai stato, ma stavolta l'odore della morte mi segue tutti i giorni...
Nelle poche ore di sonno notturno incubi terribili si susseguono.
Ieri notte ho sognato il mio cortile completamente distrutto e pieno di cadaveri.
Mi sono risvegliato con il cuore che mi batteva all'impazzata...






 ( fine seconda parte )


Racconto di Luciana Figini