sabato 8 febbraio 2014

Il pazzo Volo degli Storni




" Mi sento come una di quelle barchette di carta che i bambini di una volta facevano navigare su mari inventati, su laghi inesistenti.
Attraverso il piazzale con la sensazione di affogare nell’asfalto.

18 anni ed un viaggio lontano da casa, una bugia escogitata per prendere quel treno e correre via dagli occhi indagatori di mia madre.
Avrà capito? E se sì , cosa avrà capito?
Quest’ansia di emozione e di libertà che mi esplode dentro per lei è come la seconda guerra mondiale: la dilania, la spezza dentro, la confonde.
Sa che non può fermarmi, che non può corrermi dietro.
E’ qualcosa di più forte di me e di lei: è uno scivolo di cui non si vede il fondo.
Io ne sono terrorizzata, ma non posso fare altro che scivolare fino alla fine, perché la cosa che voglio di più al mondo è misurarne la lunghezza nel modo più veloce possibile e vedere cosa c’è alla fine della corsa.
Maledetta libertà: è lei che ci pone di fronte a noi stessi e a tutte le nostre paure sconosciute.

Lui è in ritardo e io non so cosa fare.
Gli sguardi degli uomini sono maligni ed il sole, nonostante il settembre avanzato, è implacabile.

D’un tratto gli sguardi si levano verso il cielo, dita che indicano, rumore di ali.
Sopra la stazione Termini un immenso stormo di uccelli.
E’ la prima volta in vita mia che assisto alla danza degli storni.
Sembra uno sciame scuro d’api, che si allontana e si ricompone, quasi fosse un corpo umano.
D’improvviso lo stormo si ritrae, si concentra , poi riparte verso un’altra direzione. 
Ogni volta assume una forma diversa: una palla, una nuvola; ora sembra un fumetto, un fumetto con all’interno non delle parole italiane ma delle parole “storni”.
Poi si allunga come un serpente, prende velocità e pare cadere a terra , come una pioggia di stelle cadenti nere e lucide.

Lui arriva.
Gli storni continuano le loro evoluzioni nel cielo.
Gli antichi Romani leggevano le profezie nel volo degli uccelli.
Chissà quali profezie sono racchiuse per me in questo stormo.
Tanto io non le so leggere.
Tanto io non le voglio leggere.

Lui sorride e viene verso di me.
Ho viaggiato per più di dieci ore per rivederlo ed ora non sono più sicura di niente.
Risento addosso la sabbia di quella notte ed il profumo sulla sua pelle – un dopobarba abbastanza dozzinale che a me era parso un profumo raffinato.
Viene direttamente dalla caserma, è vestito con l’uniforme sgraziata della fanteria.
Mi sembra così diverso: la sua divisa ed il suo viso pare abbiano lo stesso colore marroncino chiaro, lo stesso aspetto sciupato ed un po’ trasandato.
Ho pianto notti intere ricordando il suo respiro e la sua bocca, eppure adesso vorrei solo scappare , riprendere un altro treno e tornare a Milano.
Quel ragazzo dal viso stanco ma sorridente che ho davanti sembra essere un’altra persona.

Lo abbraccio quasi di malavoglia; sento la sua emozione, sento l’odore del suo desiderio, ma l’unica cosa che riesco a fare è alzare gli occhi verso il cielo e cercare il volo pazzo degli storni…"

- "mini" racconto di Luciana Figini - 1989


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