" Mi
sento come una di quelle barchette di carta che i bambini di una
volta facevano navigare su mari inventati, su laghi inesistenti.
Attraverso
il piazzale con la sensazione di affogare nell’asfalto.
18
anni ed un viaggio lontano da casa, una bugia escogitata per
prendere quel treno e correre via dagli occhi indagatori di mia
madre.
Avrà
capito? E se sì , cosa avrà capito?
Quest’ansia
di emozione e di libertà che mi esplode dentro per lei è come la
seconda guerra mondiale: la dilania, la spezza dentro, la confonde.
Sa
che non può fermarmi, che non può corrermi dietro.
E’
qualcosa di più forte di me e di lei: è uno scivolo di cui non si
vede il fondo.
Io
ne sono terrorizzata, ma non posso fare altro che scivolare fino
alla fine, perché la cosa che voglio di più al mondo è misurarne
la lunghezza nel modo più veloce possibile e vedere cosa c’è alla
fine della corsa.
Maledetta
libertà: è lei che ci pone di fronte a noi stessi e a tutte le
nostre paure sconosciute.
Lui
è in ritardo e io non so cosa fare.
Gli
sguardi degli uomini sono maligni ed il sole, nonostante il
settembre avanzato, è implacabile.
D’un
tratto gli sguardi si levano verso il cielo, dita che indicano,
rumore di ali.
Sopra
la stazione Termini un immenso stormo di uccelli.
E’
la prima volta in vita mia che assisto alla danza degli storni.
Sembra
uno sciame scuro d’api, che si allontana e si ricompone, quasi
fosse un corpo umano.
D’improvviso
lo stormo si ritrae, si concentra , poi riparte verso un’altra
direzione.
Ogni volta assume una forma diversa: una palla, una
nuvola; ora sembra un fumetto, un fumetto con all’interno non
delle parole italiane ma delle parole “storni”.
Poi
si allunga come un serpente, prende velocità e pare cadere a terra
, come una pioggia di stelle cadenti nere e lucide.
Lui
arriva.
Gli
storni continuano le loro evoluzioni nel cielo.
Gli
antichi Romani leggevano le profezie nel volo degli uccelli.
Chissà
quali profezie sono racchiuse per me in questo stormo.
Tanto
io non le so leggere.
Tanto
io non le voglio leggere.
Lui
sorride e viene verso di me.
Ho viaggiato per più di dieci ore per
rivederlo ed ora non sono più sicura di niente.
Risento
addosso la sabbia di quella notte ed il profumo sulla sua pelle –
un dopobarba abbastanza dozzinale che a me era parso un profumo
raffinato.
Viene
direttamente dalla caserma, è vestito con l’uniforme sgraziata
della fanteria.
Mi
sembra così diverso: la sua divisa ed il suo viso pare abbiano lo
stesso colore marroncino chiaro, lo stesso aspetto sciupato ed un po’
trasandato.
Ho
pianto notti intere ricordando il suo respiro e la sua bocca, eppure
adesso vorrei solo scappare , riprendere un altro treno e tornare a
Milano.
Quel
ragazzo dal viso stanco ma sorridente che ho davanti sembra essere
un’altra persona.
Lo
abbraccio quasi di malavoglia; sento la sua emozione, sento l’odore
del suo desiderio, ma l’unica cosa che riesco a fare è alzare gli
occhi verso il cielo e cercare il volo pazzo degli storni…"
- "mini" racconto di Luciana Figini - 1989
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