martedì 13 maggio 2014

La Mitologia del Quotidiano

 
Gabriel Garcìa Marquez

Quando Gabriel Garcìa Marquez è morto, il 17 Aprile scorso, ci ha lasciato un pò tutti orfani.
Quelli che,come me, durante gli anni settanta, hanno divorato "Cent'anni di Solitudine" e magari se lo sono riletto altre decine di volte, gli saranno eternamente grati.

La prima volta che ho iniziato a leggere questo libro pensavo che Marquez fosse un pazzo: in quel libro non riuscivo proprio ad entrarci.
Poi ho capito che non dovevo leggerlo in modo razionale ma lasciarmi andare dietro ai suoi incredibili personaggi ed alla sua magia.
Allora poco alla volta i paesaggi, gli eventi ed i personaggi cominciavano a prendere vita nella mia testa: li potevo vedere, li potevo comprendere, li potevo toccare: lo zingaro Melquiades ed i suoi apparecchi magici, la bella Remedios, l'eterna Ursula, il colonnello Aureliano Buendia, l'inquietante Rebeca, col suo sacchetto di ossa che non abbandonava mai...

Mi sono spesso chiesta perchè questo libro abbia affascinato così tante persone e penso che la risposta sia semplice: tutto ciò che porta magia nella nostra vita ci illumina e la riempie di leggenda.
Se nella vita non riusciamo a trovare un pò di mitologia e di leggenda allora può essere disperante.
I personaggi di "Cent'anni di Solitudine" patiscono tutte le pene possibili, subiscono perdite e catastrofi, piogge incessanti e malattie - una di queste fa perdere la memoria a tutto il villaggio di Macondo - eppure non dimenticano mai la magia ed il fantastico.





Vivere la vita trovando spazio per la mitologia e la magia può aiutare ad andare avanti e questa mitologia Maequez ce l'ha insegnata bene.
La nostra vita in definitiva è come quella che si vive a Macondo: il tempo si ripete, le vicende si ripetono, a volte perdiamo la memoria, a volte siamo travolti dagli eventi.
Come Arcadio Buendìa e tutti i suoi discendenti ripetiamo gli stessi errori, parliamo nei sogni con i nostri morti, cerchiamo l'amore eterno, crediamo con ingenuità a quelli che ci ingannano, ci sentiamo soli in  mezzo a decine di persone.

C'è chi dice che Marquez volesse descrivere l'immobilità del suo paese natale, la Colombia.
Io credo che sia riuscito a descrivere la solitudine e la condizione di vita di noi tutti.
Come ogni grande scrittore del passato, che si chiami Dante, Shakespeare o Goethe, Marquez riesce a "leggerci dentro", riesce ad esplorare i recessi più nascosti dell'animo umano.
Dante trova conforto nella fede, Goethe nella bellezza e nella razionalità.
Shakespeare forse non trova nessun tipo di conforto.
Gabo ( Gabriel Garcia Marquez ) ci indica la strada del mito, della leggenda e della magia.
La magia è una porta, è un passaggio sempre aperto dentro di noi e soprattutto è un linguaggio che qualsiasi essere umano capisce, a qualsiasi tipo di luogo o di tempo appartenga.



" Le cose hanno vita propria ," proclamava lo zingaro con aspro accento, " si tratta soltanto di risvegliargli l'anima."

"...la morte lo seguiva ovunque, annusandogli i pantaloni, senza mai decidersi a dargli l'unghiata finale.."

" L'atmosfera era così umida che i pesci sarebbero potuti entrare dalle porte ed uscire dalle finestre , nuotando nell'aria delle stanze."









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